Storia di un Burnout – Il Medico

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Ed eccomi qua a voler scrivere la mia storia. Come iniziare. Fare il medico è sempre stato un sogno. Mi immaginavo mentre curavo le persone, ricevevo complimenti, facevo carriera. Le persone mi avrebbero amato e stimato ed io sarei stato fiero del mio ruolo. Guardo indietro la mia vita lavorativa e mi rendo conto che le aspettative non sono state soddisfatte.

I primi anni di medicina, quando ero uno studente, sono stati i migliori anni della mia vita. Sentivo una carica ed un’energia dentro di me… Ora sto guardando questo foglio ed ascolto il silenzio nella mia casa. Non doveva andare così.

Ho lavorato per 42 anni come medico chirurgo. Ho dedicato la vita alla medicina ed ai miei pazienti. La mattina mi svegliavo alle 5:30 e mi preparavo entusiasta di affrontare la giornata. Andavo a lavorare ed entrare in ospedale era il momento in cui eri ripagato di molti anni di sforzi dove gli infermieri, i colleghi ed i pazienti ti salutavano e ti guardavano con rispetto e stima. Vedevi il riconoscimento nei loro sguardi per tutte le ore spese a condividere problemi, orari impossibili, turni estenuanti.

E tu sapevi che il tuo lavoro aveva un valore.

Ricordo che per 40 anni ho dedicato tutto me stesso al lavoro. Ho sposato una donna fantastica dalla quale ho avuto due figli altrettanto fantastici. Uno è diventato avvocato mentre l’altra ha seguito la mia strada e mi chiedo perché.

Ho svolto il mio lavoro con così tanto amore da dimenticare gli orari al punto tale da non rientrare a casa all’ora di cena, da interrompere le chiacchierate con i miei figli quando mi chiamava un paziente. Le vacanze, il Natale e tutte le feste sono sempre state interferenza nella mia vita familiare e io l’ho permesso perché amavo quello che facevo.

Gli anni sono cambiati ed è cambiato tutto. Il paziente non è più la persona che si affida alle tue cure ma è la persone che diffida di te. Il collega non è più la persona con la quale condividi un problema ma è quello con il quale prendi il caffè ma non sai se te la sta contando giusta. La Direzione Sanitaria è soffocata dai problemi che arrivano in continuazione e non si smaltiscono perché non “ci sono risorse”. Le risorse… Sono quelle che non hai più ma che ti chiedono e ti fai spremere sempre più fino a quando ti rendi conto che sono finite. Ti difendi da tutti ma non sei paranoico. Sei solo pieno di casini e da medico amato e stimato diventi un burocrate che si difende dalla denuncia facile e dal collega che ti frega la sedia (rotta) da sotto il sedere.

L’amore per l’ospedale si trasforma di giorno in giorno in ostilità e tu non te ne rendi neanche conto. Quando te ne rendi conto è tardi perché non sei più quello che arriva pimpante in bici alle 7.30 ma sei il gobbo che entra depresso in quella struttura che ti sta soffocando e schiacciando.

Sei stato così stolto da aver dedicato così tante ore al lavoro che la tua famiglia è cresciuta ma senza di te. I tuoi amici giocano a tennis e fanno viaggi ma tu sei diventato una appendice dell’Azienda Sanitaria e riesci a parlare solo di quello. Il cellulare suona, tua moglie è quasi un’estranea che ti sorride, i tuoi figli ti amano ma hanno visto più la donna di servizio di te. Chi sei?

Sei un vecchio depresso che faceva il medico. I tempi d’oro sono ormai passati e ti accorgi di dover chiedere aiuto. Ti rivolgi allora alla tua Azienda per la quale hai dedicato la tua vita e chiedi aiuto ma no. La risposta è negativa. Bisogna continuare così perché “non ci sono risorse”. Ma come, vi ho dato tutto ed ora che vi chiedo di sollevarmi da qualche compito che non sono più in grado di svolgere come prima, mi rispondete picche? Sono solo quindi e mi devo arrangiare. Come faccio a far capire a me stesso che il mondo è cambiato? Come posso far capire a me stesso che non c’è più rispetto, non c’è più amore in questa professione perché sono sentimenti “sporcati” dalla “mancanza di risorse”?

Il mondo è cambiato ed io, vecchio dottore tanto amato, sono qua a sfogarmi e ringrazio di poterlo fare perché siamo tutti così ma non ne parliamo. Ho scritto tutto di getto perché così deve essere e perché devo andare a dormire. Domani dovrò rientrare al lavoro, molto presto. La sveglia mi ricorderà che è ora di andare.

Mi dispiace per le partite di tennis mai fatte, per i Natali non trascorsi con la mia famiglia, per non aver cresciuto i miei figli ma ora ho capito il significato della vita e sono felice.

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