Fobia: Quando la paura si trasforma

 

  1. Introduzione
  2. Le emozioni primarie o universali
  3. La paura
  4. La fobia
  5. Dalla paura alla fobia
  6. Il trattamento della fobia

Bibliografia e Sitografia

 

  1. Introduzione

Nella pratica clinica è frequente la domanda “è solo una paura o una fobia? Che cos’è la fobia?”. Secondo uno studio condotto in Europa chiamato “European Study on the Epidemiology of Mental Disorders – ESEMeD” ( Alonso J. 2004), il 5.7% della popolazione italiana adulta soffre di una fobia specifica nel corso della vita; la percentuale si differenzia in base ai sessi indicando il sesso femminile più soggetto a questo disturbo (8.6% nelle donne e 2.5% negli uomini).

Perché proviamo paura? Come può, la paura, diventare fobia? Come mai si sviluppa una fobia per una cosa che, razionalmente, non è giudicata pericolosa? Iniziamo a vedere il motivo per il quale è presente in noi l’emozione della “paura”.

  1. Le emozioni primarie o universali

La paura fa parte di quelle che vengono chiamate le sei emozioni primarie o universali. Vengono chiamate così perché sono presenti in tutti gli esseri umani a prescindere dalla cultura, religione, età o sesso in quanto sono geneticamente determinate.

Esse sono:

Felicità
Paura
Rabbia
Disgusto
Tristezza
Sorpresa

 

Perché la biologia ha voluto “dotare” l’essere umano della capacità di provare emozioni? E poi, perché l’essere umano ha la capacità innata di interpretare le emozioni espresse dagli altri individui? La risposta è semplice: “per scopi di adattamento” (Darwin C. 1859, 1872).

L’immagine seguente può spiegare bene il concetto:

Nella vita di tutti i giorni, è importante saper riconoscere cosa esprimono questi volti? La risposta è ovvia. Prendiamo in considerazione l’esempio della paura. Il lupo che manifesta rabbia, incute nell’osservatore paura. La percezione della paura consentirà al soggetto di reagire con un comportamento automatico, immediato e, si presume, efficace al fine di preservare sé stesso. Poniamo il caso, invece, di non avere questa capacità innata. Ignorando le espressioni del muso e del corpo del lupo cosa accadrebbe? Potrei, ad esempio, avvicinarmi per accarezzarlo. Lo stesso esempio vale per l’espressione di rabbia dell’uomo. Se non riconoscessi immediatamente ed automaticamente l’espressione del suo volto come potrei reagire con efficacia per la mia salvaguardia?

Il carattere innato delle emozioni primarie ha pertanto funzioni ben precise. Ad esempio:

  • Rispondere in maniera immediata ed automatica ad uno stimolo preparando il nostro corpo a promuovere un comportamento di risposta adeguato.
  • Comunicare i propri stati d’animo agli altri.
  • Regolare le relazioni.
  • Prendere decisionali e valutare alcune situazioni.
  • Spingere, o meno, all’avvicinamento o allontanamento ad uno stimolo.
  • Avere un ruolo nell’apprendimento, consentendo di ricordare ciò che ha una maggiore valenza emotiva sia essa negativa (es. quell’oggetto mi fa paura) che positiva (es. quell’oggetto è il mio preferito).

Vediamo ora come l’emozione relativa la “paura” sia fondamentale per rispondere con efficacia ad uno stimolo ritenuto potenzialmente pericoloso e, quindi, “salvarci la vita”.

  1. La paura

La paura ha un enorme e fondamentale valore adattivo. La sua funzione è avvisarci che c’è un pericolo, che quello stimolo potrebbe essere dannoso. Il nostro sistema nervoso è programmato per rispondere automaticamente, effettuando un’immediata valutazione della situazione ed una preparazione dell’organismo a promuovere una risposta il più possibile adeguata ed efficace. La paura ci consente quindi di relazionarci ad uno stimolo contenendo i rischi per la nostra sopravvivenza. Questa emozione ha delle caratteristiche. Fra le più conosciute troviamo:

  • Esistono paure innate presenti in tutte le specie (es. paura dei predatori) e paure apprese dalla cultura o dal soggetto.
  • Il sistema della paura è strettamente connesso con quello dei ricordi.
  • L’attivazione della paura ha la supremazia. Il nostro sistema nervoso è predisposto per dare la precedenza alla valutazione della situazione se ritenuta potenzialmente pericolosa.
  • Il sistema nervoso ha due vie di elaborazione dello stimolo ritenuto pericoloso: un sistema deputato ad una valutazione veloce ma sommaria dello stimolo; un sistema che analizza più lentamente ma in maniera accurata lo stimolo.
  • Quando la paura è attivata l’organismo si predispone, sia a livello cognitivo che fisiologico, per analizzare e reagire.
  • Più ci avviciniamo ad uno stimolo che valutiamo come potenzialmente pericoloso, più il nostro organismo reagisce. L’avvicinamento può essere sia fisico (distanza fra me e la fonte di paura) che temporale (tempo che intercorre fra il momento attuale e quello in cui dovrò affrontare la paura).
  • La reazione allo stimolo prende in considerazione le risorse e capacità personali.

Queste sono solo alcune delle peculiarità che caratterizzano il “sistema” neurofisiologico della paura. Quanto descritto però è sufficiente per far capire l’importanza dell’emozione “paura”. Essa ci guida, ci aiuta nelle scelte, si lega al ricordo per richiamarlo quando necessario e ci aiuta a sopravvivere.

  1. La fobia

Parliamo ora di “fobia”. La fobia è una paura sproporzionata, marcata e persistente e, a differenza della paura, viene classificata come disturbo facente parte dei disturbi d’ansia (per approfondimenti clicca qui). Che differenza c’è quindi fra paura, ansia e fobia? La paura è la risposta emotiva ad una minaccia imminente reale o percepita, l’ansia è l’anticipazione di un’eventuale minaccia futura mentre parliamo di fobia quando vi è (APA 2013):

  1. Paura o ansia marcate per un oggetto o una situazione specifica (es. volare, altezze, animali, ricevere un’iniezione, vedere il sangue). Nota: nei bambini, la paura o l’ansia possono essere espresse da pianto, scoppi di collera, immobilizzazione (freezing) o aggrappamento (clinging).
  2. L’oggetto o la situazione fobica provocano quasi sempre immediata paura o ansia.
  3. L’oggetto o la situazione fobica vengono attivamente evitati o sopportati con paura o ansia intense.
  4. La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al pericolo reale rappresentato dall’oggetto o dalla situazione specifica e al contesto socioculturale.
  5. La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti e durano, tipicamente, per 6 mesi o più.
  6. La paura, l’ansia o l’evitamento provocano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti.
  7. Il disturbo non è meglio spiegato dai sintomi di un altro disturbo mentale, tra cui la paura, l’ansia e l’evitamento di situazioni associate a sintomi simili al panico o ad altri sintomi invalidanti (come nell’agorafobia); oggetti o situazioni legate a ossessioni (come nel disturbo ossessivo-compulsivo); ricordi di eventi traumatici (come nel disturbo da stress post-traumatico); separazione da casa o dalle figure di attaccamento (come nel disturbo d’ansia da separazione); o situazioni sociali (come nel disturbo d’ansia sociale).

Inoltre, la fobia:

  • Non può essere controllata da una analisi razionale.
  • Sfugge dall’autocontrollo.
  • Può andare incontro a “generalizzazione”. La fobia può essere innescata anche da oggetti o situazioni simili a quella originaria.
  • La persona riconosce che la fobia è irragionevole.

La fobia viene chiamata “specifica” in quanto si riferisce ad una specifica situazione o oggetto. Attualmente si parla di 5 sottotipi di fobie specifiche che comprendono:

  1. Animali (zoofobia): insetti (entomofobia), ragni (aracnofobia), api (apifobia), formiche (mirmecofobia), rettili (herpetofobia), uccelli (ornitofobia), roditori (musofobia), cani (cinofobia), gatti (ailurofobia), pesci (ittiofobia), squali (selacofobia), ecc.
  2. Ambiente naturale: eventi climatici e fenomeni metereologici (brontofobia), altezze (acrofobia), acqua (idrofobia), ecc.
  3. Sangue, iniezioni, ferite: vedere il sangue (emofobia), ricevere una puntura (aichmofobia), essere sottoposti a procedure mediche invasive, assistere a un intervento chirurgico, dentista (dentofobia/odontofobia), ecc.
  4. Situazioni: trasporti pubblici, spazi chiusi (claustrofobia), tunnel, attraversare ponti (gefirofobia), ascensori, volare (aviofobia), guidare (amaxofobia), ecc.
  5. Altro: soffocare (anginofobia), vomito o di vomitare (emetofobia), contrarre il cancro (carcinofobia), pagliacci e maschere (coulrofobia), bambole (pediofobia), morte (necrofobia), rumori forti (liguirofobia), ecc.

La gravità del disturbo fobico è principalmente in relazione all’impatto che la fobia ha sulla qualità della vita quotidiana. Ovviamente la fobia per gli squali ha un marginale impatto sulla vita di un soggetto che vive distante dal mare e non ha interessi in merito. Diversa è la fobia degli spazi chiusi per chi deve prendere l’ascensore abitando all’ottavo piano.

I Sintomi della fobia sono sia cognitivi che fisiologici. Fra i più comuni troviamo:

Lo stato di allerta del corpo può provocare accelerazione del battito cardiaco, difficoltà respiratorie, mal di stomaco, nausea, vertigini, tensione muscolare, tremori, sensazione di calore, formicolio, difficoltà a deglutire.

Lo stato emotivo e cognitivo possono provocare un forte stato di tensione e nervosismo, confusione mentale, paura di svenire, disorientamento, ansia elevata, impulso di fuga o evitamento, timore di perdere il controllo, attenzione focalizzata sullo stimolo.

  1. Dalla paura alla fobia

Perché la paura di un oggetto o di una situazione si può trasformare in fobia? Secondo le Teorie Cognitivo-Comportamentali, la fobia nasce per apprendimento. I meccanismi alla base dell’apprendimento sono:

  • Condizionamento classico (Pavlov I, 1927): è un processo di associazione che avviene fra uno stimolo ed una risposta. L’esempio, nel nostro caso, è dato un evento traumatico: in seguito ad un incidente automobilistico (stimolo) ho sviluppato la fobia della guida (risposta).
  • Modellamento: in questo caso, non è necessario il contatto diretto con lo stimolo o oggetto che provoca fobia. Può essere sufficiente l’osservazione di una situazione, la visione di video/immagini, l’ascolto di un racconto o la reazione di un altro soggetto. Ad esempio, assistere ad un incidente automobilistico provoca la fobia della guida.
  • Condizionamento Operante (Skinner BF, 1938): la persona apprende che un particolare comportamento produce una determinata conseguenza: se è positiva, la persona ripeterà il comportamento mentre se negativa, non lo ripeterà. Questo è il meccanismo alla base del quale si suppone che la fobia si mantenga nel tempo.

Inoltre, la fobia si mantiene nel tempo per il processo mentale e comportamentale chiamato “evitamento”. Con questo termine intendiamo il comportamento volontario della persona volto a evitare di affrontare la situazione o l’oggetto che causa la fobia. Vediamo cosa può accadere:

Immaginiamo di avvicinarci (sia a livello temporale che fisico) alla situazione temuta. Più ci avviciniamo e più l’ansia aumenta. Si innesca il lavoro del pensiero che, a scopi protettivi, da “l’allarme”. Ecco che arrivano le reazioni fisiologiche (es. mi sento agitato, il cuore batte forte, sto sudando). Nel momento in cui saremo prossimi alla situazione ansiogena, il livello d’ansia sarà molto elevato ed i sintomi somatici si faranno sempre più sentire (es. il cuore mi sta scoppiando e non ce la faccio più). A questo punto, abbiamo due scelte: continuare ad affrontare la situazione, con i (soggettivi) rischi connessi oppure evitarla. In quest’ultimo caso, l’ansia diminuirà drasticamente e la persona avvertirà il benessere sia a livello di pensiero (es. così va meglio) che a livello somatico attraverso la graduale diminuzione dei sintomi corporei. Il mio pensiero ha, a questo punto, “registrato” che se mi allontano dalla situazione non affrontandola, starò meglio.

  1. Il trattamento della fobia

La Terapia Cognitivo-Comportamentale è efficace in quanto, soprattutto in questo caso, lavora attivamente con il cliente al fine di “estinguere” la fobia. Il trattamento è focalizzato sul comportamento e sul pensiero. Come abbiamo detto in precedenza, la fobia crea nella persona pensieri automatici, irrazionali e incontrollabili nel momento in cui si trova di fronte allo stimolo fobico. Inoltre, la persona mette in atto comportamenti di evitamento per provare un apparente benessere. Al cliente verranno pertanto insegnate tecniche e metodi per poter lavorare congiuntamente sia sul pensiero che sul comportamento. Nel primo caso, si interverrà per individuare e modificare le convinzioni che la persona ha sviluppato riguardo l’oggetto o situazione che crea fobia, i pensieri ad esso associati, le emozioni che provoca ed i pensieri che la mantengono.

Al fine di agire sul comportamento, la Terapia Cognitivo-Comportamentale ha un numero elevato di tecniche efficaci. Fra le più utilizzate c’è l’esposizione. “Esporsi” vuol dire affrontare in maniera graduale e controllata lo stimolo che causa la fobia. Il lavoro del terapeuta e del cliente sarà quindi un lavoro congiunto, caratterizzato dal porsi continui obiettivi fino all’estinzione della fobia.

 

 

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Bibliografia e Sitografia

  • Alonso J. et al. Prevalence of mental disorders in Europe: results from the European Study of the Epidemiology of Mental Disorders (ESEMeD) project. Acta Psychiatr Scand Suppl. 2004;(420):21-7
  • APA – American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing, 2013. Edizione italiana: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Raffaello Cortina, 2014.
  • ESEMeD, European Study on the Epidemiology of Mental Disorders (2004). Per esaminare i principali risultati ottenuti nella popolazione italiana: http://www.epicentro.iss.it/temi/mentale/esemed.pdf
  • Darwin C. On the Origin of Species. John Murray, London (1859). Ed. Italiana: Darwin C. Le origini delle specie. Rizzoli (2009)
  • Darwin C. The expression of the emotions in man and animals. London, John Murray (1872). Ed. Italiana: Darwin C. L’ espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali. Bollati Boringhieri (2012)
  • Pavlov I. P. Conditioned Reflexes: An Investigation of the Physiological Activity of the Cerebral Cortex. Oxford University Press (1927). Per esaminare il testo originale: http://s-f-walker.org.uk/pubsebooks/pdfs/Conditioned-Reflexes-Pavlov.pdf
  • Skinner, B. F. The Behavior of organisms: An experimental analysis. New York: Appleton-Century. (1938). Per esaminare il testo originale: http://s-f-walker.org.uk/pubsebooks/pdfs/The%20Behavior%20of%20Organisms%20-%20BF%20Skinner.pdf

 

Dott.ssa Elisa Negro

Psicologo – Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

Dottore di Ricerca in Neuroscienze Cliniche

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